Il giovane chef tramutato in olivicoltore
L’esperienza di Gianfranco Tuoro è scaturita da un evento drammatico che gli ha condizionato il futuro. Ora lavora in agricoltura con l’orgoglio di crederci con tutto se stesso. Per ottenere buoni frutti, sono necessarie tante buone idee. La sua passione? L’olio
Gianfranco Tuoro è nato a Lecco nel maggio del 1981 e risiede tuttora in Lombardia, a Oggiono. Dopo alcune esperienze come aiuto presso la Trattoria Cantù di Olginate e successivamente in altri locali , e dopo aver studiato presso l’Alberghiero “Vespucci” di Milano, ha ricoperto l’incarico di chef presso il Ristorante Il Porto a Port Frejus, per poi ricoprire il ruolo di chef di partita presso il ristorante La Capannina Jersey. L’anno di svolta è il 2002, quando un grave incidente motociclistico lo ha costretto sulla carrozzina. Nel 2008 decide di acquistare un oliveto a Castelvetrano, in provincia diu Trapani, e fonda così la Sciavuru d'Aliva (profumo di oliva). Un impegno in cui crede fortemente, tanto che nel 2009 aderisce sin da subito alla Dop Valle del Belice.
Da quanto tempo si occupa di agricoltura e con quali risultati?
Mi occupo di agricoltura da quattro anni. Nella mia vita precedente ero un cuoco con una carriera abbastanza promettente. Al momento del mio incidente, a 21 anni, potevo già vantare inaugurazioni e avviamenti di ristoranti e incarichi di chef in costa azzurra, isola di Jersey, Praga, e altrove. Costretto su una carrozzina, ho ripensato a cosa poter fare e, arrivandoci per esclusione e per convinzioni personali, ho deciso di inventarmi “olivicultore”. L'olio che riesco a ottenere, conforme già al disciplinare Dop Valle del Belìce, è di alta qualità. In fondo credo sia solo necessario trovare il giusto compromesso fra una resa ritenuta accettabile da parte della componente umana assecondando l'eterno lavoro della natura.
E’ soddisfatto, perplesso o preoccupato?
Personalmente mi ritengo soddisfatto del mio lavoro, perchè non cerco un'intensiva produttività dal mio appezzamento, non ne trovo il bisogno. Ritengo che l'intera industria alimentare dovrebbe ripensare i suoi metodi partendo dai propri numeri, ma si sa che al momento l'intera filiera agroalimentare sta lavorando in maniera speculativa e con gli stessi ritmi forsennati della finanza mondiale. Questo non giova a nessuno, se non a chi ha intenzioni speculative come se si trattasse di qualsiasi altro prodotto bancario. Per cui non mi sento di essere preoccupato ma amareggiato sì, perchè non si è saputo riuscire a distribuire cibo prodotto per 12 miliardi di persone per lo meno ai 7 miliardi che al momento abitano il pianeta.
Perché il mondo rurale ha perso in centralità e importanza negli ultimi decenni?
Credo che il mondo rurale, in questi ultimi decenni sia stato trattato in maniera non differente da qualsiasi altro bene speculativo, nonostante la raggiunta soddisfazione di beni primari teoricamente per tutti. L'errore più grosso, a parer mio, che poteva compiere l'uomo del ventesimo secolo dettato dal suo delirio di onnipotenza. E' stata data talmente per scontata la produttività del suolo grazie alle innovazioni tecniche che la maggior parte delle persone comuni di questi nostri stati “civilizzati” ignora perfino la provenienza, la lavorazione e il trasporto dei cibi che ingurgita. Il cibo è ridotto alla forma di carburante, da stoccare, da diluire, da sofisticare e su cui speculare come fosse un barile di petrolio tralasciando gli aspetti culturali della coltura, i retaggi, le storie, i proverbi e le feste che hanno sempre ruotato attorno al calendario dettato dai campi fin dall'invenzione dell'agricoltura.
Crede che il comparto agricolo possa restare ancora un settore primario in Italia?
L'Italia non sarebbe il paese invidiato da tutti se non fosse per l'agricoltura, prima ancora delle sue arti che derivano direttamente dalla sapienza dei propri agricoltori. Le cernite operate dagli antichi romani prima, grazie all'Impero, e dalla popolazione poi, grazie alle carestie, portate dalle guerre che hanno dilaniato gli staterelli preunitari, hanno portato il popolo italico a usare, inventare prodotti, e creare metodi di conservazione che non hanno pari nel resto del modo. Credo che un punto di partenza del genere sia sufficiente per far tornare il comparto agricolo per lo meno al posto che merita in un paese “civile”.
E lei perché ha scelto di operare in agricoltura?
Come ho già detto, io sono entrato in agricoltura per caso. Il dover scegliere un nuovo mestiere mi ha portato a osservare che alcune delle eccellenze “create”, o solo perpetuate dai nostri avi, stavano sparendo, non perchè anacronistiche ma ben più miseramente per l'inettitudine inculcataci facendo largo a standardizzatori che hanno fatto e fanno man bassa nei nostri patrimoni agricoli facendoceli apparire ridicoli così preferendo l'inganno della “grande marca” mi ha disturbato e ho deciso di voler difendere in prima persona un pezzettino di questo patrimonio.
Un aggettivo per definire il mondo agricolo?
Per definire il mondo agricolo come io l'intendo – cioè più un insieme di tanti piccoli orti o fattorie che le colture e allevamenti intensivi rassomiglianti a fabbriche di cibo – non mi viene in mente un aggettivo, ma una canzone di un grande cantautore: “Mio fratello è figlio unico”, di Rino Gaetano.
Un aggettivo per definire invece le associazioni di categoria?
Io personalmente non ho un rapporto idilliaco con l’associazione di categoria a cui appartengo. Trovo che, come la maggior parte delle associazioni presenti in questo paese, abbiano “scoperto” troppo tardi di essere entrati a far parte di una colossale truffa, troppo impegnati a mantenere le proprie posizioni “rilevanti”, facendo passare per buona cosa le bieche elargizioni concesse dai legislatori. Non è necessaria l'elemosina, ma regole per cui chi truffa, specula e fa lo scorretto debba essere punito. Non vorrei apparire pedante, ma diceva Publio Siro “Beneficium accipere, libertatem est vendere”. Posso sembrare adirato, ma è solo la mia opinione, dettata in parte dalla mia piccola esperienza personale.
Una parola d’ordine per l’agricoltura di domani?
L'agricoltura di domani dovrà solo tener conto delle tradizioni di ieri, elaborandole per ricostruirsi il patrimonio culturale che le sta alle spalle e riprendersi i nessi che la legano inevitabilmente alla civiltà, e scrollarsi di dosso, se sarà possibile, il fardello della finanza mantenendo se mai quello della moneta.
Se dovesse consigliare a un amico di investire in agricoltura, quale comparto produttivo suggerirebbe?
Ho già consigliato ad amici di entrare nell'agricoltura, e la semplice orticoltura può dare molte soddisfazioni. Se qualcuno volesse entrare in questo ambito, oltre che per il proprio auto sostentamento gli consiglierei di riscoprire qualcuna delle infinità di cultivar selezionate nei secoli dai nostri avi, secondo le conformazioni ambientali di ogni singolo giardino italiano che hanno urgente bisogno di non essere perse per sempre, che hanno aneddotti da raccontare e che sono state accantonate in nome della produttività. E' necessario vendere anche la storia del prodotto stesso, le sue origini e le sue peculiarità. Fino agli anni ‘50 esistevano solo in Italia circa 400 tipi di mele diverse, e ora sul mercato si è fortunati a trovarne sette, otto. Incredibile quanto sapere perso.
Un imprenditore agricolo che ritiene possa essere un modello a cui ispirarsi?
Non conosco purtroppo il nome di imprenditore agricolo in particolare a cui ispirarmi ma ho molta ammirazione e stima per chi riesce a condurre la propria azienda conservando il sapere delle vecchie tradizioni senza rimanere legato ad esse. Chi, in coscienza, si sente di non dover chiedere troppo alla terra ma trovare la soluzione di un reddito dignitoso pescando fra le proprie idee.
Un ministro agricolo al quale sente di esprimere pieno apprezzamento?
Se sono apparso polemico fino ad ora parlando della situazione in generale, e in specifico dell'agricoltura, figuriamoci quale tipo di apprezzamento potrei dare a un ministro dell'agricoltura che tra l’altro non svolge altra funzione importante se non quella di riferire le decisioni deliberate dalla Commissione europea, in gran parte deleterie per un'agricoltura sostenibile, ma volte anzi ad un'esasperazione produttiva e illogica.
Le certificazioni di prodotto sono davvero utili al consumatore o lo confondono?
Sono convinto che le certificazioni possano contribuire a una consapevolezza ulteriore da parte del consumatore, è necessario però che si riporti il consumatore stesso a volersi interessare a quello che mangia. Le certificazioni possono momentaneamente sopperire a tali carenze di sapere, ma solo una riforma seria della scuola volta a far istruzione su come e dove si produce il cibo, e una inversione di rotta sui tipi di consumi, può e deve al più presto cominciare a esercitare nella gente la voglia di diventare “cool”, autoproducensi il cibo, e trovare soddisfazioni in questi ambiti. Le certificazioni, come tutte le sovrastrutture burocratiche create dall'uomo, sono destinate a “incancrenirsi” e perdere di vista col tempo lo scopo per cui sono state create.
Un libro relativo al mondo rurale che consiglierebbe di leggere?
Non ho letto fino ad ora un libro che parli del mondo rurale. Appartengo a una generazione dove la televisione e forse anche il cinema l’hanno fatta da padrone. Se posso, mi sentirei di consigliare un grande film di Bertolucci che tratta questo mondo e la sua evoluzione sociale e che mi ha colpito: “Novecento”.
Un libro di narrativa, poesia o saggio che non si può non aver letto?
Sono molti, ma ecco tre titoli, uno per ogni genere:
Narrativa: La pelle, di Curzio Malaparte; per capire come sono labili i confini delle definizioni ed “etichettature” umane di fronte alle esigenze e ai veri problemi.
Poesia: La Divina Commedia, di Dante; difficilmente il pensiero umano potrà arrivare altrettanto lontano.
Saggio: Armi Acciaio e Malattie, di Jared Dimond; esprime in un ininterrotto filo logico le cause e gli effetti macroscopici dell'avventura umana.
Il libro che in questo momento sta invece leggendo?
In questi giorni sto leggendo Giù al Sud di Pino Aprile, e condivido con lui il fatto di dover rimettere mano alla storiografia riguardante il nostro paese, ripulendola dal romanticismo e dall'eroismo dell'epoca, ma anche dalla semplificazione contemporanea di quegli eventi, per comprendere meglio quali retaggi ci si porta appresso e da cosa sono stati causati.
Perché gli italiani, e gli agricoltori in particolare, non leggono?
Gli italiani non leggono molto perchè è più semplice guardare la tv. I ritmi frenetici per le popolazioni urbane e i dissesti persistenti dell'economia agricola rendono più semplice l'aggrapparsi alle facili soluzioni e alle fittizie speranze della tv. Per leggere e apprezzare un buon libro occorre anche un minimo di serenità d'animo.